
Sempre di più si sente parlare di diversità e inclusione, in ogni settore, da quello aziendale a quello istituzionale, passando per quello associativo. Ma spesso non è chiaro quale sia la differenza tra diversità e inclusione nel mondo del lavoro. Perciò, vediamo insieme quindi più da vicino questi concetti e aggiungiamone un altro collegato: engagement.
Per diversità si intende l’insieme delle caratteristiche di una persona che rientrano in categorie che la distinguano nel comportamento e nel vissuto rispetto ad altre e nella nostra società, nello specifico, queste categorie sono di tipo: culturale, etnico, religioso, generazionale, di genere, di abilità psicofisiche, di orientamento sessuale.
Il significato di inclusione si allaccia alla diversità, da qui il motivo del termine diversity e inclusion, perché non vi è inclusione senza diversità che dialoghino tra loro. Essere inclusivi vuol dire fare sì che le diversità tra le persone non diventino fonte di diseguaglianza e svantaggio, bensì punti di forza peculiari che si intrecciano con quelli degli altri, al fine di creare un sistema coeso ed equilibrato, dove tutti si sentono valorizzati in virtù di quelle stesse diversità.
Tutto questo viene fatto per creare engagement e cioè un grado di coinvolgimento dei dipendenti che li motiva e rende l’ambiente lavorativo più propositivo, dinamico, sereno e innovativo perché si avvale appunto di tutte le diversità come fonte di ricchezza.
È così che ogni persona, con le sue peculiarità, diventa come uno strumento all’interno di un’orchestra come sosteneva lo stesso direttore d’orchestra Ezio Bosso, quando sottolineava come un’orchestra rappresentasse in piccolo quello che dovrebbe essere una società ideale, dove tutti per dare il meglio, devono necessariamente ascoltare gli altri e affrontare le difficoltà come opportunità. Così i tipi di diversità non sono che strumenti differenti capaci, nel dialogo comune, di creare musica.
Incontrare l’altro, conoscerlo, ci consente di smontare quelli che vengono definiti gli unconscious bias ovvero i pregiudizi inconsci che risiedono in ognuno di noi e di aprirci a mondi nuovi che a livello aziendale creano valore.
Diversità e inclusione nel mondo del lavoro: le aziende italiane
Sono moltissime le aziende italiane che hanno capito l’importanza di valorizzare la diversità non come concetto astratto da sbandierare per fare politically correct, ma da vivere ed integrare nel quotidiano aziendale come forza propulsiva che rilancia l’azienda stessa. La diversa provenienza, cultura, esperienza di vita, però, non genera in automatico valore per un’azienda.
A generare valore sono le esperienze di vita, la provenienza differente e la cultura. Per questo motivo, in alcune realtà la gestione della diversità è un vero e proprio approccio che ha preso il nome di diversity management nelle aziende italiane e di cui si occupano i dipartimenti risorse umane. Non basta infatti che vi siano le diversità, ma è necessario far sì che nessuno si senta in posizione svantaggiata o sovraesposta, ma semplicemente valorizzato per ciò che è capace di dare ed essere.
Non basta quindi assumere, per esempio, persone di diversa etnia o orientamento sessuale per aumentare la diversity e inclusion in azienda, bisogna far sì che esse abbiano le giuste opportunità e vengano valorizzate, e che tutti in questo sistema si valorizzino l’uno con l’altro attraverso in primis l’ascolto, la conoscenza, l’empatia, il grado di coinvolgimento e quindi l’engagement.

Diversità e inclusione: le donne
Sappiamo che in maniera trasversale, le donne sono quelle che in quasi tutti i Paesi del mondo, risentono di un dislivello remunerativo ingiustificato rispetto ai loro colleghi uomini e che questo avviene anche nel ricoprire incarichi dirigenziali, ancora di più se madri. Addirittura in alcuni settori lavorativi sono discriminate perché non ritenute all’altezza.
Lo riporta anche il rapporto Women in Tech del 2020, pubblicato da TrustRadius, che mostra dei dati interessanti in merito: le donne che hanno partecipato affermano di non sentirsi incluse nel mondo tech e questo sia perché sono retribuite meno rispetto ai loro colleghi uomini (anche meno competenti), sia in base alla cultura generale che in ufficio favorisce spesso gli uomini. Il mix tra la convinzione che alcuni lavori siano perlopiù da uomini e tali atteggiamenti, fomentano pregiudizi e giudizi che diventano difficili da sradicare dai contesti lavorativi.
L’essere madri di 2 o 3 figli poi, diventa ulteriormente un elemento discriminante, senza valutare quello che invece alcune aziende hanno compreso: chi è genitore acquisisce delle skills che altri non hanno.
Per citarne alcune:
- la resilienza;
- la capacità di mediare tra persone molto diverse;
- l’abilità nella gestione dei tempi,dovendo ottimizzare ogni minuto al massimo già nella vita di tutti i giorni;
- la concretezza.
La differenza generazionale, un tipo di diversità
La differenza generazionale tra i diversi dipendenti può essere vista come un ostacolo alla produttività per la difficoltà di comunicazione tra le parti, in realtà se bene integrata e con le misure ad hoc, diventa un plus da spendere nel mercato. Se valorizzata può essere funzionale per aumentare la serenità e vivibilità dell’azienda, per generare nuove idee e di conseguenza produttività.
Per esempio la generazione Baby boomer (i nati tra il 1945 e il 1960) e i millennials (i nati tra il 1980 e il 2000) possono essere guida e spunto gli uni per gli altri, creando così team multigenerazionali efficienti e produttivi.
Introdurre politiche di inclusione all’interno delle aziende non è solo una scelta etica rilevante, ma ha conseguenze anche sul fatturato dei brand. Le aziende percepite dai consumatori come più inclusive, infatti, sono le preferite al momento degli acquisti. Al punto che il 51% dei consumatori decide per beni e servizi di aziende inclusive e il 23% preferisce brand che investono sulla Diversity & Inclusion. Inoltre, secondo i dati diffusi da Diversity Index Brand 2019 3 persone su 4 sono sensibili al messaggio di inclusività dei brand.
È interessante notare come le aziende che risultano essere più inclusive producono un Net Promoter Score (Indicatore del passaparola) più alto rispetto a quello generato dalle non inclusive. Ciò comporta un forte impatto sulla reputazione del marchio e sulla fiducia che i consumatori ripongono in esso.
Diversity management delle aziende italiane: quali sono le più inclusive nella classifica del 100 D&I Index?
Tra le prime 25 aziende in classifica, troviamo alcune realtà italiane posizionate in top 30:
– all’ottavo posto, in top 10, c’è Telecom Italia;
– subito sotto, Hera si piazza dodicesima in classifica;
– un po’ più in basso in diciassettesima posizione, troviamo Enel;
– ventiduesimo posto, invece, per INWIT;
– chiude il cerchio, con un interessante venticinquesimo posto, Salvatore Ferragamo.
Progetti di diversity & inclusion: alcuni case history
Il brand Barilla, tra i tanti obiettivi portati a segno, indica il raggiungimento del 37% di donne in posizioni di leadership a livello globale. Nel 2015 inoltre l’azienda ha avviato il primo programma per i rifugiati in Svezia, per poi estenderlo in Germania, Francia e Italia. Più di 50 rifugiati hanno ricevuto esperienza lavorativa e formazione per supportare la loro integrazione nei luoghi di lavoro.
Frog Design invece ha fatto dell’inclusione la sua mission. Frog è una delle principali società di consulenza creativa globale, parte di Capgemini Invent. Insieme si impegnano per dare forma a un futuro rigenerativo che sia allo stesso tempo sostenibile e inclusivo per le imprese, le persone e il pianeta.
Il team della Frog Design è eterogeneo su più livelli. Sono convinti infatti che per far progredire veramente l’esperienza umana attraverso il design sia necessario avere una profonda comprensione della diversità di culture, background, bisogni ed emozioni che modellano il nostro mondo.
L’obiettivo del design inclusivo è combattere attivamente i pregiudizi per rendere le esperienze il più accoglienti e accessibili possibile per il maggior numero possibile di persone.
Ed è quello che accade nella progettazione di parchi inclusivi per bambini con diverse disabilità (motorie, sensoriali) che diventano opportunità di giochi per tutti. O la progettazione di libri inclusivi tattili che diventano indispensabili per i non vedenti o ipovedenti ma che allo stesso tempo diventano opportunità sensoriali anche per gli altri.
Una società che include è una società che guarda al futuro
Dalle più piccole realtà fino ad arrivare alle grandi aziende, ogni comunità è uno specchio della nostra società che più valorizza le diversità e promuove l’inclusività, più migliora la qualità della vita dei singoli e del gruppo raggiungendo traguardi altrimenti non pensabili.
Ciò diventa anche un plus valore per i brand che ne registrano un benefit nel loro business, basti pensare che le aziende che investono nell’inclusività hanno incrementi dei ricavi del 20% superiori rispetto alle aziende non inclusive. Un motivo rilevante per cui andare sempre di più in questa direzione.
Forse la “società ideale” di cui parlava Ezio Bosso, non è poi così utopica, ma si costruisce giorno dopo giorno e produce un circolo virtuoso di cui tutti beneficiamo.