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29 Novembre 2022 |

Gender Gap, ridurlo per rafforzare l’inclusività in azienda

Nel 1791 Olympe De Gourge, attivista e drammaturga francese, scrisse “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” in cui dichiarava l’uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. Fu un atto rivoluzionario, nessuna donna, prima di allora, aveva parlato della parità di genere in termini giuridici e legali. Dopo due secoli da questo scritto, la distanza tra uomo e donna in termini di differenti possibilità di accesso all’istruzione, al lavoro, ad un equo salario, alla vita politica, è ancora un topic, purtroppo, molto attuale. Ancora oggi sentiamo parlare di “Gender Gap”, tanto che il fenomeno viene misurato da un indice: il Gender Diversity Index. Secondo il World Economic Forum gli anni previsti affinché si raggiunga la parità di genere in Europa sono ben 60.

I Paesi più vicini alla parità di genere sono Norvegia, Francia e Gran Bretagna con un GDI pari a 0,7, contro lo 0,62 dell’Italia. Un posto in graduatoria non proprio soddisfacente quest’ultimo, ma che si auspica possa cambiare grazie anche alle politiche messe in atto per ridurre il gap. Ci riferiamo alla Certificazione di parità facente parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Certificazione di parità, cosa è e come ottenerla

Con il PNRR si è disposta la creazione della Certificazione di parità. Questa, rilasciata da società accreditate, secondo dei parametri che le aziende devono dimostrare di soddisfare, è volta ad attestare un percorso intrapreso per la riduzione del gender gap. 

La certificazione di parità ha l’obiettivo inoltre di fare da stimolo per quelle aziende che ancora non si sono attivate in tal senso. Ciò perché vi sono vantaggi economici diretti ed indiretti per chi riesce a soddisfare i parametri. Come vantaggio diretto economico si hanno i contributi previdenziali scontati dell’1% fino a 50 mila euro per azienda. Per vantaggi indiretti si ottengono punteggi maggiorati in caso di partecipazione agli appalti pubblici.

Il Gender Gap dopo la pandemia

Il Gender Gap, in Italia, è aumentato in particolare a seguito del Covid. In base ai dati Inps sui nuovi contratti di lavoro attivati all’inizio del 2021, si è visto come la rappresentanza femminile abbia subito delle ripercussioni non solo nei ruoli dirigenziali ma anche nel settore lavorativo in genere. 

Le nuove assunzioni femminili si sono attestate su 39,6% del totale e in particolare la tipologia di contratti è cambiata, e non in meglio francamente:

  • il 60% dei contratti alle donne è precario;
  • il 49,6% di tutte le nuove assunzioni di donne è di tipo part time;
  • solo il 38% dei contratti mutati da tempo determinati in contratti a tempo indeterminato riguardano donne.

Sono dati rilevanti se si pensa che il 42% della forza lavoro è composta da donne e che solo un terzo ha un contratto a tempo indeterminato.

Divario salariale 

Le brutte notizie però non finiscono qui, la forbice si allarga tra uomo e donna, ancora più notevolmente, quando si parla di retribuzione.  A parità di incarico e ruolo, uomo e donna non percepiscono lo stesso stipendio. 

La differenza la si nota nello stipendio netto mensile a cinque anni dal conseguimento della laurea magistrale, dove  la differenza nello stipendio netto mensile è di oltre 500 euro tra uomini e donne, con una media di 1.969 euro per gli uomini e di 1.403 euro per le donne. Paradossalmente, inoltre, il gap salariale cresce con l’aumentare del livello di istruzione raggiunto.

Come le aziende possono intervenire per ridurre il Gender Gap

In primis vanno proposte  tutte quelle soluzioni che possano agevolare l’equilibrio vita lavorativa con vita familiare come: 

  • smart working in alcuni giorni settimanali
  • servizi di assistenza nella gestione della cura dei familiari supportati dall’azienda
  • flessibilità degli orari

Sicuramente vanno implementate delle politiche di reskilling e upskilling, cioè dei corsi di formazione interni all’azienda per potenziare le capacità delle donne per il loro percorso lavorativo o formarle per un nuovo profilo occupazionale. 

In particolare, molte aziende sono indirizzate verso le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Ci si è resi conto che sono poche le donne che hanno una formazione di tipo STEM e spesso non per loro volere ma per pregiudizi o per mancanza di accesso a determinati studi. 

Per cui, dato che la richiesta di lavoro in questi settori sta diventando sempre più grande ecco che la necessità di formare più donne in questo senso, diventa non solo una necessità ma un’opportunità di crescita sia per il personale che per l’azienda stessa.

Come l’HR può promuovere la leadership femminile

Il ruolo delle Risorse Umane è molto importante per favorire la cultura della parità di genere in azienda. E questo può farlo attraverso diverse strategie:

  • Lavorare sulla comunicazione interna e sulla cultura aziendale che sia inclusiva riguardo le donne

Da uno studio della Washington University si è scoperto che il 33% in più di donne viene interrotto dagli uomini durante una conversazione. Sembrano piccolezze eppure non lo sono. Sono modi per non dare valore ai contenuti di chi parla, è mancanza di rispetto, è prevaricazione. Tra l’altro non ascoltando non si progredisce nello scambio comunicativo e quindi è anche poco vantaggioso come approccio.

Promuovere un linguaggio neutro, senza distinzione di genere per gli annunci di lavoro, non richiedere la foto allegata al curriculum, sono alcuni esempi di come un’azienda può dare un segnale ben distinto di come non fare distinzioni di genere.

  • Adottare politiche aziendali a favore della parità di genere 

Supportare le donne nella fase del rientro post maternità e affiancare i genitori nella gestione dei carichi familiari è un modo per favorire l’occupazione femminile e la rappresentanza delle donne ai vertici dell’azienda. 

II welfare aziendale può essere un ottimo strumento per migliorare l’integrazione tra vita professionale e familiare. Ad esempio come LianeCare abbiamo ideato il servizio di Carefinder, una piattaforma per la ricerca di baby sitter e assistenti familiari qualificati a disposizione dei dipendenti per permettergli di raggiungere il benessere ed essere più produttivi, senza sacrificare né la carriera né la famiglia.

  • Coltivare i talenti,  promuoverne la carriera e proporre role model vincenti

Le donne vanno incentivate e aiutate a perseguire i propri obiettivi di carriera valorizzandone le competenze e abilità.  In particolare proporre dei “role model” ovvero delle donne di riferimento che sono riuscite ad emergere e a cui ispirarsi può essere una strategia vincente per far crescere dei talenti in azienda.

  • Promuovere il mentoring 

Lì dove esistono già delle figure di rilievo femminili a capo di specifiche sezioni aziendali, va incentivato il mentoring, prevedendo delle sessioni di incontro e scambio dove le donne possano ispirarsi ad altre che ricoprono ruoli dirigenziali.

  • Tutela delle donne in caso di molestie

Sul posto di lavoro è possibile che si creino delle dinamiche di sopraffazione sulle donne, parliamo di casi di molestie che vanno gestite ed arginate.

Le donne devono potersi sentire al sicuro nel posto dove lavorano. 

Il cammino verso la parità di genere è ancora lungo, ma sicuramente una buona area HR può fare la differenza avvalendosi di  tutti gli strumenti forniti dalla legislazione e creando delle iniziative a livello aziendale che possono condurre ad un’azienda più sana, più equa e più inclusiva.

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